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E’ il primo lavoro monografico, risalente alla seconda metà degli anni ottanta, e svolto prevalentemente in Germania, nelle facoltà di giurisprudenza di Bielefeld e Freiburg.
Il testo si occupa di studiare i rapporti tra processo civile di cognizione ed esecuzione forzata, ed in particolare studia la possibilità di consentire al creditore l’inizio dell’esecuzione forzata e dell’espropriazione senza necessariamente dover previamente intraprendere e portare a termine il processo di cognizione.
Ciò, appunto, avviene, nei casi in cui sia possibile consentire al creditore, attraverso una condanna con riserva delle difese, l’attribuzione in via breve di un titolo esecutivo, che assicuri la pronta riscossione del credito anche in presenza di eccezioni. E si comprende che il tema è di particolare importanza ed attualità, poiché ha a che vedere con il più generale problema della durata dei processi, e delle difficoltà dei cittadini nella riscossione di crediti.
Il testo si divide in due parti: una parte storica e una ricostruzione sistematica del diritto vivente.
Di entrambi le parti si tengono conto le esperienze giuridiche italiane, tedesche e francesi.
Il testo muove dall’età tardo medievale, ove l’anticipazione dell’esecuzione forzata alla cognizione piena di merito, date certe condizioni, costituiva la regola, tanto nei comuni italiani, quanto in Francia e in Germania.
Studia poi l’evolversi del fenomeno nell’età degli stati assoluti e principeschi, e poi nell’età delle codificazioni ottocentesche, e la ricostruzione storica degli istituti è fatta sempre direttamente sulle fonti, e sull’analisi diretta di numerosissimi documenti del periodo, ritrovati nelle università di Firenze e di Freiburg.
La seconda parte, dopo aver sintetizzato i risultati dell’analisi storica, e dopo aver analizzato le ipotesi di condanna con riserva previsti dalle leggi italiane, francesi e tedesche, studia la struttura dell’istituto, che individua nella prova piena dei fatti costitutivi, nell’eccezione di lunga indagine, e nel potere di delibazione sommaria del giudice.
Lo studio, infine, si sofferma sulla funzione della condanna con riserva, e fissa il principio secondo il quale la durata (immediata) del processo deve andare a danno della parte che ha bisogno della trattazione della causa.
In quegli anni, sulla base di queste regole, si pensava di introdurre un articolo nel codice di procedura civile (per l’esattezza art. 186 quater c.p.c.) che consentisse in via generale la possibilità di condannare il convenuto con riserva delle eccezioni nei casi in cui il creditore avesse offerto prova immediata del suo diritto, e il processo avesse dovuto proseguire solo per l’accertamento delle difese del debitore.
Tale progetto, però, non ebbe successo, e la norma non fu introdotta con la riforma degli anni ’90.
Attualmente qualcosa di analogo ha di nuovo proposto Andrea Proto Pisani (v. Foro it., 20009, V, 1 e ss., art. 2.28), che immagina di introdurre una disposizione analoga a quella già scritta alla fine degli anni ‘80, e che prevede che “Quando i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio non siano contestati dalle parti costituite o risultino pienamente provati, ma la causa non sia di pronta decisione per le necessità istruttorie collegate alle eccezioni del convenuto………..il giudice, su istanza di parte e nel contraddittorio dell’altra, pronuncia ordinanza di condanna all’adempimento della prestazione richiesta”.
L’autore è tornato su questi argomenti in Brevi note sui rapporti cronologici tra cognizione piena ed esecuzione forzata, Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1990, 1363 e ss.; e soprattutto in In difesa dell’art. 648 c.p.c., Foro it., 1996, I, 2343..